Quella volta che salvammo i clandestini
di Andrea Cavanna
Era Novembre del 1997 (forse) ed ero imbarcato sull’Alliance, eravamo nel porto di Ancona. La nave avrebbe dovuto partire alle 23.00 ma la Capitaneria di Porto ci chiamò per chiederci se potevamo dare la precedenza ad un traghetto diretto in Albania, era il traghetto che rimpatriava i clandestini provenienti da quel paese. Avevamo visto il traghetto ormeggiato poco distante dalla nostra nave e lo vedemmo quindi passare con il suo carico di disperati.
Circa un’ora dopo salpammo anche noi ed io mi ero attardato a poppa, nonostante il freddo pungente, ad ammirare le luci della città che piano, piano diventavano sempre più piccole; il mare era calmo. I marinai terminata la manovra avevano fermato i verricelli, avevano riposto le gomene di ancoraggio e spento le luci, sulla nave era calato il buio ed il silenzio, rotto soltanto dallo sciabordio delle onde che frangevano lungo la fiancata della nave.
Fu in quel silenzio che percepii, molto flebile, una invocazione di aiuto, non ero certo di aver sentito bene allora chiesi a Salvatore, il marinaio che aveva terminato la manovra, “Salvatore non ti sembra di sentire qualcuno che chiama aiuto?”. Tacemmo immediatamente e nel silenzio sentimmo di nuovo l’invocazione d’aiuto. Intanto c’eravamo abituati al buoi e potemmo vedere un piccola luce flebile in mezzo al mare, non molto lontano da noi, forse meno di cento di metri. Era la luce di un salvagente e una indistinta sagoma umana che sbracciava. Immediatamente avvertimmo il ponte di comando con la frase di rito “MAN OVER BOARD!” (Uomo a mare!). Sul ponte dopo le nostre indicazioni scatto l’emergenza, la nave fu subito illuminata a giorno mentre un proiettore dall’alto del ponte di comando cercava di individuare la persona che invocava aiuto. Quando il cono di luce lo individuò scoprimmo che erano tre le persone da soccorrere erano attaccate a due salvagente, fortunatamente per loro, uno dei due salvagente aveva la luce rossa, quella che ci ha permesso di individuarli nel buoi della notte.
La nave iniziò subito la manovra di avvicinamento mentre i marinai srotolavano la biscaglina lungo la murata della nave. Si era fatta l’una di notte e la temperatura dell’aria e del mare era scesa di parecchi gradi, era novembre e i poveri cristi correvano il rischio dell’ipotermia, che li avrebbe portati a morte sicura. Bisognava fare presto.
Si erano aggrappati alla biscaglina ma non avevano più la forza arrampicarsi. Fortunatamente erano a babordo, sul lato sinistro della nave, dove c’era la scala reale, che fu subito ammainata sino al pelo dell’acqua. Il marinaio, sulla piattaforma della scala, con un’asta con in cima un uncino (mezzo marinaio) agganciò il primo naufrago e lo trasse sulla piattaforma dove un altro marinaio lo sorreggeva e l’aiutava a salire la rampa di scale, poi trasse il secondo; il terzo non ne voleva saperne di mollare la corda della biscaglina, aveva serrato i pugni in una presa ferrea.
Il marinaio si sporse per aprigli le mani con tutta la sua forza ma senza riuscirci. Decisero allora di calare una rete (la giapponese) con l’intento di avvolgerlo e tirarlo a bordo con la mancina. Così fecero e così fu che lo issarono a bordo.
Furono portati immediatamente in infermeria dove furono spogliati degli abiti fradici e freddi, li misero sotto la doccia calda e poi infilati a letto sotto uno strato di coperte. Nonostante fossero sotto le coperte continuavano a tremare. Un giovane cadetto scozzese stette tutto il tempo accanto al più giovane nell’intento di aumentare il calore con il proprio corpo e continuando sempre a parlargli per evitare che si addormentasse, le diceva frasi di conforto e di incoraggiamento; parole, che forse, il giovane naufrago neanche capiva. Ci vollero più di due ore prima che si stabilizzassero. Dai documenti che avevano con loro i tre naufraghi furono identificati, erano albanesi ed erano giovanissimi il più vecchio dei tre aveva ventidue anni, gli altri due, diciotto e diciassette anni. Nei loro portafogli furono trovate valute di varie nazionalità, quelle più preziose, dollari, marchi e sterline. Questi soldi forse erano il resto delle somma che avevano pagato per espatriare clandestinamente e forse, anche per comprarsi un futuro migliore.
Intanto la nave aveva invertito la rotta per ritornare ad Ancona dove, allertate le autorità locali, si stavano preparando tre ambulanze che avrebbero portato i tre poveri ragazzi all’ospedale.
Erano clandestini ed erano forzatamente imbarcati sul traghetto che era partito prima di noi e che li avrebbe rimpatriati; disperati per la fine della loro speranza si erano gettati in mare con l’intento di sottrarsi al rimpatrio e di raggiungere a nuoto di nuovo le coste italiane. Una idea folle perché eravamo distanti dalla costa più di due miglia e con il freddo non sarebbero sopravvissuti un’altra ora. Il caso ha voluto che noi partissimo dopo di loro, era l’ultima nave che lasciava il porto di Ancona quella notte. Se fossimo partiti prima del loro traghetto sarebbero certamente morti assiderati.
Naturalmente non sapremo mai a che destino sono andati incontro. A noi rimase la convinzione che se avevano compiuto un atto così temerario lo avevano fatto con la consapevolezza della disperazione per la ricerca di un futuro migliore. Speriamo che l’abbiano trovato in qualche altro modo.
Da questa esperienza, vissuta in prima persona e in diretta, ho capito che bisogna conoscere la disperazione degli altri ed avere rispetto per quelli che come loro, che per avere un futuro migliore sono disposti a sacrificare anche la propria vita.
Caro Andrea, mi sono veramente commosso nel leggere in tuo racconto…
Grazie Diego, ne metterò delle altre appena riesco a raccogliere le idee.
Ciao Andrea,
E un racconto molto toccante e purtroppo vero! Grazie a te che ti sei accorto di tutto.
A volte a fare il destino di una persona è il caso.
Il mio merito è stato solo quello di essere lì.
Il grosso del lavoro lo hanno fatto gli altri.
Bravo Andrea. Direi che più di un racconto è una bella testimonianza di un fatto del quale, se ricordo bene, il Centro ne ha parlato troppo poco.
Grazie anche a te Ezio.
Ho voluto iniziare a mettere un racconto come questo nella speranza che qualcuno mi imiti, molti di noi hanno ricordi di vita vissuta, specialmente noi che abbiamo partecipato a moltissime campagne in mare e siamo stati testimoni di episodi analoghi, come quella volta che hanno messo in salvo i Pakistani, o quando abbiamo soccorso il motoscafo all’Isola d’Elba.
Ciao